0.3 CARI LONTANI VICINI… Ruggeri

Pubblicato da Alice Valente Visco il

Reportage di Alice Valente Visco

0.3 CARI LONTANI VICINI -Scala B, terzo piano

RUGGERI

Italia, pensionata

Nulla si muove a Via Macaluso senza che Italia ne sia al corrente. Italia non è solo una vicina di casa, è la sentinella del condominio. Ne è la memoria. E’ colei che tutto sa e tutto ha sentito e visto. E se qualcosa le è sfuggito, subito rimedia con qualche domanda. In fondo è anche una protezione. In fondo ci piace pensarla un po’ come l’Italia.

Un reportage su questo condominio non avrebbe diritto di esistere se non includesse la partecipazione di “Iaia”. Così l’ha ribattezzata Ciuffetto (mio figlio) che in questa quarantena sta imparando a parlare, forse nel disperato tentativo di richiamare a sé quei contatti umani che avevano già da tempo iniziato a schiudergli nuove gioie al di là dei genitori. Improvvisamente, le strade sono diventate quasi vuote, le persone distanti e con la metà del volto che prima dispensava sorrisi, coperta. La signora Italia un giorno ha iniziato a chiamarlo dal balconcino sotto al nostro e lui, non potendo sporgersi, la ricambiava con alti vocalizzi. Un altro giorno l’ho visto spelacchiare una pianta e sporgere un braccino tra le inferriate sperando che le foglie raggiungessero “Iaaaaiaaaa”. Da allora, la invoca tante volte nel corso della giornata e quando scendiamo le scale, salutarla è una tappa obbligata.

Lo slancio di Ciuffetto mi fa credere a un desiderio innato negli esseri umani di interagire con le persone anziane, forse intuendo inconsciamente la preziosità di un mondo afferrabile solo attraverso di loro. Penso all’inesauribile creatività e alla magia di cui l’avrebbe potuto circondare mia madre, penso a quei due nonni in Molise che avrebbero così tanto da offrirgli e invece si stanno perdendo tutto di questo nipotino che pure amano, bloccati dalla paura di uscire dal guscio più forte di qualsiasi quarantena. Penso al potere insano delle paure.

Così il piccino è già un piccolo Diogene che se ne va in cerca delle figure umane di cui circondarsi. Anche a me è capitato così. Mia madre mi ha cresciuta in una famiglia elettiva di amici stretti e parenti acquisiti in giro per il mondo. Primi fra tutti, quelli della “mia” tanto amata famiglia Fernandez che fra gli anni ’80 e i ’90, a Goa, ci affittava una stanza della loro casa, su una spiaggetta di pescatori…ma questa è un’altra storia che mi porta davvero lontano. Ancora oggi preferisco travalicare i sentimenti dell’assenza e della nostalgia accogliendo o creando qualcosa di nuovo.

Italia, non è solo una nonna, ma ne è anche un po’ l’icona. Le necessità della vita l’hanno resa risoluta e attiva. Ha lavorato da ragazza in un’elegante boutique del centro. Dopo una lunga malattia del marito, ha continuato a crescere i suoi due figli da sola. E’ moderna quando guida la macchina e si fa in otto per stare con le sue tre nipoti e andarle a prendere e riportare di qua e di là. E’ la nonna italiana (almeno nel mio immaginario non del tutto italiano): quando, sentendoti passare davanti alla sua porta, si affaccia con in testa i bigodini e ti racconta del ciambellone nel forno di cui ti porterà una parte oppure ti invita per un caffè in salotto e ti offre le caramelle marca Rossana che ha comprato perché sa che ti piacciono; quando ti porta del minestrone caldo perché sa che hai un po’ di influenza; quando invita il mio compagno a vedere la partita dalla sua comoda poltrona perché sa che non abbiamo la televisione; e ancora quando esce tutta ben sistemata, con la collana di perle, ma non quella più preziosa, per andare a messa insieme alla sorella e accompagnando sotto braccio una vicina molto più grande di loro.

Il piccolo ha capito subito che era un buon partito e l’ha ribattezzata con un suono tenero che le calza a pennello: Iaia.

20 Aprile

E’ emozionata anche se cerca di dissimularlo rivolgendomi a sua volta delle domande. Poi si scioglie e il pretesto del reportage rivela che anche lei ha un gran bisogno di parlare e dichiarare. “Questo male mi sembra qualcosa d’irreale. Sono soprattutto preoccupata per la generazione dei giovani. Io non ho avuto attacchi di panico. Però, mi chiedo continuamente: Ci dicono la verità? Ci dicono la verità?”.

Ecco un tema cruciale in questi giorni: la verità. Ancor più che della verità, abbiamo nostalgia di figure autorevoli che possano non solo guidare il paese ma anche coltivare ed ispirare valori e dunque offrirsi come punti di riferimento.“Ricordo i racconti della pandemia spagnola, ne morì una sorella di mamma. La grande differenza però è che loro erano sette e stavano tutte insieme, si aiutavano. Mi mette più angoscia la solitudine, l’isolamento, la vecchietta che muore sola. Adesso non aspettano più quarantotto ore, dopo un’ora ti mettono dentro a un sacco. E se una non è morta?

Dicono cose diverse: è nell’aria il virus o no?? Prima di parlare in tv dovrebbero pensarci bene e mettersi d’accordo. Così stanno solo seminando paura.

Dopo questa esperienza penso che saremo meno superficiali. Meno interessati ad essere i primi della classe, ad indossare cose firmate. Saremo più responsabili e buoni verso il prossimo…ma sono pessimista perché gli esseri umani dopo un po’ dimenticano”.

Le chiedo se trova sia un fatto positivo il poter usare mezzi informatici in questo periodo? “La tecnologia è buona fino a un certo punto. Io ho acquisito più dimestichezza. Sono anche riuscita a togliermi da un gruppo su Messanger in cui si scrivevano continuamente. Sentivo il bip dei messaggi dalle sei del mattino fino a mezzanotte. Ho persino fatto la mia prima telefonata su Skype. -Ride- in realtà non volevo farla, è accaduto per sbaglio e quando mio figlio ha visto che lo stavo chiamando, si è sorpreso tantissimo. Di bello questo periodo ha portato il silenzio e l’abbassamento dei livelli d’inquinamento. Dovrebbero aumentare i mezzi di trasporto pubblici, ma vedrai che come per le altre cose, non lo faranno”.


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