0.12 CARI LONTANI VICINI…Islam
Reportage di Alice Valente Visco

Sonia, casalinga
Rajan, fornaio
Dihan

9 Maggio
Eccomi giunta all’ultima intervista, quella agli amici Sonia e Rajan. Un dulcis in fundo per suggellare insieme la conclusione di questo insolito viaggio condominiale. Con loro ho un rapporto speciale e la fortuna ha voluto che tre anni fa potessero venire ad abitare proprio nell’appartamento sopra al mio. Ho conosciuto Rajan dieci anni fa, quando ancora –e così è rimasto per lungo tempo- il suo lavoro di fornaio dietro le quinte implicava condizioni massacranti (con turni anche di dodici ore al giorno e più notti consecutive), mal pagate, non dichiarate e non tutelate. Quando ancora ci conoscevamo appena, i miei viaggi di antropologa in Bangladesh per raccogliere testimonianze sulla società e l’emigrazione verso l’Italia, con particolare attenzione ai vissuti delle donne bengalesi, mi hanno portata a fare tappa anche a Tangail, dove sono stata ospitata dalla famiglia di Rajan, con apertura e affetto indimenticabili. Poi c’è stata la mia ricerca sulle condizioni dei migranti e nuovi cittadini dal Bangladesh a Roma, le fotografie, le lezioni di italiano L2 per stranieri, in biblioteca e a domicilio per Sonia quando era rimasta in cinta.
Visti da fuori facciamo forse un po’ sorridere. Malgrado gli anni trascorsi, la nostra amicizia è ancora impregnata di una divertente e pastosa cerimoniosità per un implacabile senso di riconoscenza reciproca e con Sonia, purtroppo, comunichiamo con una lingua mista di italiano, bengali, inglese senza però aver ancora veramente abbattuto le nostre distanze linguistiche. Arrivata in Italia pochi anni fa, con l’entusiasmo di una giovane ventiduenne innamorata del marito che il sistema del matrimonio combinato gli aveva dato in sorte (previo suo assenso), Sonia, inizialmente non ha chiesto altro a se stessa che di poter vivere l’avventura di questa nuova vita all’estero e di poter diventare madre. Ben presto, la difficoltà di apprendere la lingua locale e di trovare un impiego, la divisione dei compiti all’interno della famiglia, l’arrivo di un figlio e l’attesa ora di un secondo, non hanno lasciato spazio a molto altro, ma, stimolata dall’esempio di altre connazionali, nella sua mente si affaccia spesso il desiderio di un suo possibile futuro lavorativo. Mesi fa ne abbiamo parlato: Alice, secondo te che lavoro potrei fare, non conoscendo ancora bene l’italiano? Puoi aiutarmi a trovarne uno?
Al momento però Sonia è di nuovo tonda e luminosa come un uovo e bisogna aspettare. Mentre parlo, ogni tanto lo sguardo le rimane sospeso verso quella speciale zona di contatto che si stabilisce tra una madre e il proprio bimbo nel grembo. Siede accanto a Rajan che parla, ma di tre quarti, con un occhio a Dihan, tre anni e mezzo, e pronta ad andare in cucina per finire di preparargli il pranzo. Capisco che oggi scambieremo fra noi più sguardi che parole, ma mi coccola facendomi apparire davanti un piattino di succosi Rasgulla: un miraggio in questo tempo di astinenza da pasticcerie e qualche cosa me la racconta. “Quando è iniziato tutto, ero appena entrata nel terzo mese di gravidanza. Subito ho pensato: deve essere un virus normale, ma poi con l’aumento dei contagiati e dei morti ho capito che non lo era. Allora ho avuto paura per il bambino che aspettiamo. Mi sono chiesta: e ora come faccio se devo andare in Ospedale? Siamo usciti solo un paio di volte per due controlli importanti, ma la prima analisi l’ho saltata perché eravamo spaventatissimi del rischio di contagio. E sono ed ero preoccupata per Rajan che deve andare a lavoro. Prego tanto. Stare in casa, come sai, non mi pesa. Roma mi piace moltissimo, anche in quarantena. E’ stato bellissimo avere il silenzio e l’aria pulita. E ho sentito profondamente la natura”.
Penso ai dubbi e alle preoccupazioni delle donne in gravidanza e a un’amica che, come tante altre, ha partorito in questo periodo, senza poter avere vicino in Ospedale il proprio compagno né ricevere visite.
Il piccolo proiettore giocattolo che ho portato per Dihan, fa tornare alla memoria di Rajan una fatto di quand’era ragazzino. Negli anni ’70, a Tangail il nonno paterno aprì un grande cinema contro le maldicenze di bigotti e ben pensanti. Lui ci andava spesso con gli amici, gongolando per il fatto di poter entrare gratuitamente. “Vi si trasmettevano all’epoca solo film di registi selezionati ed era affollato di donne e donne con neonati. Adesso invece purtroppo le programmazioni sono commerciali e davvero diseducative”.
Prima che arrivassi io, erano al telefono con i parenti riuniti a Tangail per il Ramadan, un’altra delle festività che in tutto il mondo hanno subito dei cambiamenti nel loro svolgimento. Così, per evitare assembramenti, l’8 Aprile il seder pasquale è stato seguito dalle famiglie in videoconferenza attraverso piattaforme come Zoom, il 23 Maggio, Piazza San Pietro era deserta durante il rito della Via Cruci e la piazza della Grande Moschea alla Mecca continua ad essere praticamente vuota e non si potrà celebrare collettivamente l’Iftar (il pasto che interrompe il digiuno). E chissà quali riflessioni suscita nei fedeli questa insolita situazione.
Rajan inizia a rispondere alle mie domande. “La mia vita quotidiana è cambiata di poco. Continuo a lavorare anche se meno ore e usiamo mascherine e distanze. Riflettevo su una cosa. Negli ultimi tempi ci sono state tante manifestazioni per la difesa dell’ambiente, ma niente è cambiato. Il Corona virus ci ha fermato tutti e il mondo in poco tempo è cambiato. Magari avere un lock down almeno un mese ogni anno! Che senso ha andare avanti vivendo così. In Bangladesh prima si viveva anche fino a cent’anni, negli ultimi decenni, l’inquinamento dell’aria e dell’agricoltura hanno cambiato drasticamente il cibo che si mangia. Poi sappiamo bene che le risorse del pianeta sono sufficienti a garantire sostentamento a tutti e che la fame nel mondo ha dietro interessi economici e corruzione. Ha proposito di corruzione, purtroppo in Bangladesh la situazione è sempre la stessa. Anche davanti a questa emergenza, nel governo ciascuno fa per conto proprio. Hanno fermato gli autobus ma lasciano aperte le fabbriche per non bloccare l’economia così che c’è tanta gente che esce di notte e cammina delle ore per raggiungere il posto di lavoro. Non c’è da fidarsi neanche dell’informazione, dicono che ci sono pochi contagiati ma ho confrontato i numeri con quelli dell’Italia e ho visto che hanno fatto semplicemente molti meno tamponi.
Comunque così non va. Perché gli Stati, invece di impiegare soldi per i bombardamenti in Siria e nelle altre guerre non li investono nella medicina!? Si dovrebbero costruire meno armi e automobili e più respiratori! Che importanza ha nella vita avere una macchina costosa!?
Forse stiamo però imparando almeno ad essere più attenti a livello igienico. Credo sia meglio ad esempio il fatto di non stringersi subito la mano quando ci si saluta.
Inoltre, essere costretti a casa ci da un poco l’idea di come si sta in carcere e magari può essere un monito verso chi ha intenzione di commettere reati”.
Cosa avete detto a Dihan per motivare il fatto che non si poteva uscire e tutto il resto?
“Con lui è successa una cosa particolare. Ricordi che ogni volta che uscivo al mattino per andare a lavoro si metteva a piangere a lungo perché voleva venire con me? Aveva cominciato addirittura a dare capocciate alla porta dell’ascensore e strillava -Papà scuola! Dihan pizza!-. Io cercavo di uscire piano piano di nascosto sperando che non si svegliasse. Dovendo tenerlo a casa per i nuovi regolamenti, Sonia un giorno gli ha detto, quasi per caso: -Non possiamo uscire, perché fuori c’è il leone!-. Ha funzionato, da quella volta, non ha più strillato e sta volentieri a casa. Incredibile. Ho anche paura di esagerare con questa storia del leone, ma al momento è utile. Meno male che si tratta di un animale che qui non si incontra, sarebbe stato un problema se gli avesse detto ad esempio -Fuori ci sono i cani-!. Del resto già da prima che chiudessero le scuole, pensando anche a Sonia che è in cinta abbiamo preferito non mandarlo. Anche con la mascherina è bravissimo. Gli abbiamo detto che ci sono delle zanzare che fanno molto male e non se la toglie. A casa è tranquillo e trova cosa fare, però è saltata tutta l’organizzazione della sua giornata. Non uscendo mai, si stanca meno fisicamente e fatica a prender sonno. Di notte si sveglia e comincia a battere i piedi”.
Penso alla questione enorme dei più piccoli… sapremo solo più in là in che modo si è sedimentato dentro di loro l’improvviso cambiamento di abitudini e del modo di relazionarsi della gente. Sono già tanti i bambini che stanno presentando problemi ad esempio con il sonno e con la digestione, altri, a pochi anni di vita, per loro scelta oggi non vogliono uscire di casa. E non posso non adombrarmi all’idea che i nonni siano diventati esseri virtuali e intangibili. Dall’altro lato, qualcuno avrà senz’altro goduto della totale preziosa compresenza dei genitori e di una loro ritrovata creatività per rendere vivaci e stimolanti le giornate.
Cosa ricorderanno e come elaboreranno le sensazioni di questo periodo? Cosa ci racconteranno? Per il futuro di tutti sarà fondamentale metterci in ascolto delle nuove generazioni. Dentro di me penso che sapranno sorprenderci e che matureranno gli strumenti per insegnare a noi adulti come andare oltre.
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